L’importanza della formazione tecnico-professionale nei progetti di cooperazione allo sviluppo tra il Veneto e i Paesi africani con particolare attenzione all’Angola e alle prospettive dell’economia circolare e degli OSS ONU

Formazione che cambia il futuro: dal Veneto all’Angola, un ponte di competenze per uno sviluppo sostenibile

In un mondo sempre più interdipendente, la cooperazione internazionale non è più solo un gesto di solidarietà: è una strategia intelligente per costruire opportunità reciproche. Tra le esperienze più significative degli ultimi anni si colloca il dialogo virtuoso tra il Veneto e l’Angola, due territori che, pur così distanti, condividono una radice culturale cristiano-latina e una stessa convinzione: la formazione tecnico-professionale è la chiave per generare sviluppo vero, dignitoso e sostenibile.

Non è un caso che proprio dal Veneto, culla di piccole imprese familiari e di distretti produttivi oggi riconosciuti in tutta Europa, stiano nascendo progetti capaci di trasformare le competenze in un vero motore di emancipazione. Percorsi formativi che insegnano un mestiere, ma anche un modo di pensare: fare bene, ridurre gli sprechi, rispettare le persone e l’ambiente.

Quando imparare un mestiere diventa un atto di riscatto

Nel cuore di molte comunità angolane, la disoccupazione giovanile è un problema drammatico. Ragazzi e ragazze pieni di energie si trovano spesso senza prospettive, costretti a migrare o a vivere di espedienti. Eppure, la voglia di imparare è fortissima. È qui che entrano in gioco i corsi di formazione professionale sostenuti da diocesi, ONG e istituzioni venete. Corsi intensivi di pochi mesi per imparare a usare una macchina per cucire, riparare un impianto elettrico, avviare una piccola officina. Oppure percorsi più lunghi, annuali o biennali, pensati per formare elettricisti, falegnami, tecnici dell’irrigazione, operatori agroalimentari.

In molti casi, questi progetti sono ispirati al modello delle PPL – Piccole Produzioni Locali, un concetto che in Veneto si è consolidato negli anni come sinonimo di microimprese artigianali capaci di valorizzare le risorse del territorio e generare lavoro a filiera corta.

Il segreto? L’economia circolare

Se c’è un’idea che unisce le esperienze venete con le aspirazioni di tante comunità africane, è l’economia circolare: non più produrre-consumare-buttare, ma rigenerare, riusare, risparmiare. In Angola questo approccio si traduce in laboratori di trasformazione alimentare che utilizzano materie prime locali e riducono gli scarti. In piccole falegnamerie che recuperano il legno. In orti comunitari irrigati con sistemi a goccia progettati per non sprecare acqua.

Chi partecipa a questi corsi impara un mestiere e, al tempo stesso, scopre una cultura nuova del lavoro: più rispettosa dell’ambiente, più responsabile verso la comunità. È la stessa cultura che in Veneto ha dato vita a distretti produttivi resilienti, capaci di rinnovarsi in tempi di crisi.

I corsi che lasciano il segno: formazione e prime esperienze di lavoro

Non tutti i percorsi formativi sono uguali. In Angola, grazie al sostegno delle istituzioni venete, si stanno sperimentando tre formule principali che, accanto alle ore di aula e laboratorio, puntano sempre più spesso a offrire un primo contatto diretto con il mondo del lavoro.

Corsi intensivi e pratici, di durata variabile da una a dodici settimane, sono pensati per chi desidera apprendere in tempi brevi competenze essenziali e immediatamente spendibili: montare un impianto fotovoltaico, realizzare conserve alimentari, fabbricare alveari o riparare pompe idrauliche. In molti casi, questi corsi si completano con brevi stage presso cooperative agricole, officine comunitarie o piccole imprese locali, per permettere ai partecipanti di sperimentare sul campo quanto appreso. Anche pochi giorni di lavoro in un contesto produttivo aiutano a prendere confidenza con ritmi, strumenti e relazioni professionali.

Corsi annuali di qualifica, con oltre 800 ore di formazione, uniscono lezioni teoriche, esercitazioni pratiche e un periodo di tirocinio presso aziende locali o botteghe artigiane. Qui, l’esperienza lavorativa diventa parte integrante del percorso didattico: chi si specializza come operatore agroalimentare, per esempio, passa diverse settimane in un laboratorio di trasformazione, chi si forma come elettricista affianca un tecnico durante installazioni reali. In alcuni progetti particolarmente innovativi, gli studenti più meritevoli hanno l’opportunità di trascorrere un breve periodo di stage anche in Italia, ospitati da imprese venete disponibili a condividere il loro know-how. Queste esperienze internazionali, per quanto riservate a pochi, hanno un impatto enorme sulla motivazione e sulla capacità di trasferire competenze una volta rientrati.

Percorsi biennali di specializzazione, destinati a chi vuole diventare formatore o gestire un’attività, prevedono un’alternanza costante tra formazione in aula e pratica lavorativa. Tirocini più lunghi – di tre o sei mesi – presso aziende agricole, laboratori artigiani o centri di servizi tecnici consentono ai partecipanti di consolidare le competenze in un contesto professionale. Inoltre, in alcuni casi specifici, come la manutenzione avanzata di macchinari agricoli o la progettazione di impianti di irrigazione, è previsto un modulo formativo da svolgere in Italia, in aziende venete che operano nel settore. Questo scambio formativo internazionale non solo arricchisce il bagaglio tecnico, ma aiuta a costruire relazioni professionali che, nel tempo, possono trasformarsi in nuove opportunità di cooperazione.

La sostenibilità è la misura del successo

Ciò che distingue questi progetti da tanti interventi “spot” è la capacità di pensare in prospettiva. La sostenibilità, infatti, non è solo un’etichetta di moda, ma il vero criterio per capire se un’iniziativa produce effetti duraturi.

La sostenibilità è economica, quando i centri formativi diventano progressivamente capaci di autofinanziarsi grazie alla vendita di beni e servizi. È sociale, quando i corsi favoriscono l’inclusione delle donne, la partecipazione comunitaria e riducono le disuguaglianze. Ed è ambientale, quando ogni attività riduce il consumo di risorse e le emissioni.

Per misurare tutto questo, sempre più progetti si affidano a una bussola condivisa: i 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’ONU. Tra questi, alcuni sono direttamente connessi alle esperienze veneto-angolane:

Monitorare questi indicatori è un modo per rendere conto ai donatori, ma soprattutto per capire se le comunità stanno davvero diventando più autonome.

Il valore aggiunto di una radice culturale comune

A fare la differenza è anche il terreno condiviso di valori che unisce il Veneto all’Angola: la matrice cristiano-latina crea un linguaggio comune. La dignità del lavoro, la solidarietà tra le famiglie, la responsabilità verso il creato: valori che rendono la formazione non solo utile, ma anche profondamente riconoscibile e accettata.

Non stupisce che molti centri di formazione sorgano proprio accanto alle parrocchie, alle missioni e ai centri di pastorale sociale, luoghi che in Angola rappresentano punti di riferimento e fiducia.

Piccole Produzioni Locali: un’idea semplice che cambia il territorio

L’esperienza delle PPL è un esempio concreto di come un approccio artigianale e sostenibile possa diventare il cuore di una comunità più resiliente. L’idea è semplice: valorizzare quello che c’è – le risorse naturali, le abilità delle persone, la cultura del fare – per produrre beni a filiera corta che soddisfino i bisogni locali.

In Angola, questa visione si traduce in piccole officine per la riparazione di pompe idrauliche, in laboratori di trasformazione dei cereali o nella produzione di arredi scolastici realizzati con materiali di recupero. Ogni piccola produzione diventa un anello di una catena di valore che resta sul territorio.

E mentre i beneficiari imparano un mestiere, nascono reti di scambio e mutuo aiuto. Reti che, come insegna l’esperienza veneta, sono spesso più forti di qualsiasi finanziamento.

Una sfida che riguarda tutti

Non mancano, naturalmente, le difficoltà. La scarsità di materiali didattici in lingua locale, la mancanza di connessioni digitali, le difficoltà logistiche per i formatori che arrivano dall’Italia. E poi il tema cruciale della sostenibilità economica: molti corsi non possono ancora fare a meno del sostegno esterno.

Eppure, ogni volta che un ragazzo o una ragazza completa un percorso formativo e trova lavoro, la sfida sembra meno insormontabile. Ogni volta che una microimpresa inizia a produrre reddito, la speranza diventa più concreta.

Una lezione da portare ovunque

Dall’esperienza di cooperazione tra il Veneto e l’Angola nasce un messaggio che vale per tutti: insegnare un mestiere non è solo trasferire competenze tecniche, ma aiutare le persone a ritrovare fiducia in sé stesse, a costruire un futuro più giusto, più inclusivo e più rispettoso dell’ambiente.

In un tempo in cui la parola “sostenibilità” rischia di diventare uno slogan, queste storie ci ricordano che esiste un modo concreto di darle sostanza: partire dalle persone, dalle loro mani, dai loro talenti.

E soprattutto, dal coraggio di creare legami che attraversano continenti e culture.

“L’educazione è l’arma più potente che si possa usare per cambiare il mondo.”
— Nelson Mandela

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